Il governatore della Puglia, Nichi Vendola risponde a Luca Di Tolve, che sulle pagine di A, aveva raccontato settimane fa, della propria “guarigione”: da omosessuale impenitente a etero innamorato ed in pace con se stesso:
Lei crede davvero che Luca abbia ragione? Che la felicità sia solo etero? Che davvero un gay non possa essere felice? No, non è così, non può essere così. Quello che rende infelici è l’ipocrisia, la clandestinità, la paura di essere quel che si è. Questo è infelicità. Solo questo.
Un invito ai giovani ad accettarsi e vivere liberamente la propria sessualità:
Dichiararsi può essere dolore, anche emarginazione, anche violenza. Io non ho mai avuto paura di essere quello che sono. E se c’è un pensiero che mi trasmette ancora angoscia è immaginare di vivere nella menzogna.
Vendola crede che l’Italia sia pronta ad un premier gay, onesto e rispettoso verso i cittadini:
È pronta a un premier capace di dire la verità. Io non ho mai mentito sulla mia vita privata. Altri sì. Altri hanno fatto dell’ipocrisia la cifra del loro racconto: magari di giorno partecipavano ai family day e di notte cercavano trans e cocaina. L’ipocrisia ha segnato la cultura profonda della società italiana e che ho respirato per anni nelle stanze dei partiti. Del mio partito.
Il politico ha svelato come sia più facile dichiarare le proprie preferenze ad un sacerdote piuttosto che ai compagni di partito:
Da loro non mi sono mai sentito rifiutato. E mai giudicato. Anzi spesso ho avuto un confronto autentico: loro capivano me e io capivo che anche nella Chiesa ci sono sensibilità diverse. E qualcuna provoca dolore e tristezza. La tristezza dei pregiudizi, delle paure. Lo confesso: ci sono stati momenti in cui ho vissuto la fede con fatica. Guardavo con sgomento quella Chiesa che si veste d’oro, mi chiedevo perché. Poi capivo: funziona sempre il silenzio di Dio e la libertà è fatta anche di quel silenzio. Vede, Dio non è tribunale islamico; Dio è libertà e responsabilità.
L’unico rimpianto? Non essere diventato padre
Mi piace giocare, fare teatro, scrivere filastrocche. Credo che sarei stato un buon papà. Provo tristezza quando vedo con quanta superficialità si diventa genitori: senza riflettere, senza pesare, senza interrogarti e senza donarti. Quante domande farei a tanti papà: quante volte invece di una parola preferisci offrire a tuo figlio un cartone animato? Quante volte rinunci alla conoscenza della sua crescita? Quante scegli di non misurarti con lui? Forse troppe. E forse, ancora una volta, siamo dentro un’interpretazione volgare di un ruolo fondamentale. Mi resta però una consolazione: il mondo corre. Più di quanto immaginiamo.